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Cinema come fremito di un corpo collettivo in "È a questo punto che nasce il bisogno di fare storia" di Constanze Ruhm

Ludovica Fales

L’archivio non è uno spazio fisico, ma un processo dinamico. Un organismo che respira, che pulsa in un continuo divenire collettivo. Non si limita a conservare, ma ridà vita, rievoca, risveglia, riscrive. È un corpo collettivo che cresce, che si trasmette attraverso gesti, connessioni, performance, riscritture che passano da una generazione all’altra. L’archivio femminista – e transfemminista – è discontinuo, instabile, parziale. È frammentato, sempre in movimento, sempre eccedente. E proprio nell’instabilità risiede la sua potenza politica. In questo scenario, È a questo punto che nasce il bisogno di fare storia di Constanze Ruhm (Austria/Portogallo 2024, 96 min.) è un film che, tra documentario e performance, si propone come una liberazione dell’archivio dalla sua funzione tradizionale.

Sottraendolo al ruolo di strumento e dispositivo di potere, Ruhm trasforma l'archivio in uno spazio di conflitto e trasformazione. Un campo di battaglia, ma anche un orizzonte di possibilità, un terreno di immaginazione politica per il futuro. Il punto di partenza è una traccia che vibra di potenziale: il pensiero di Carla Lonzi.

Femminista radicale e pensatrice irriducibile, Lonzi continua a parlarci, se abbiamo il coraggio di non ridurla a un simbolo pacificato, ma di lasciare piuttosto che ci inquieti. Riportarla nel presente significa contaminare la sua riflessione con le domande di oggi: sulla violenza istituzionale, sul lavoro riproduttivo, sui linguaggi del corpo e del desiderio. Che fine ha fatto la nostra radicalità, collettiva e individuale? Lonzi stessa si pone questa domanda, interpellandoci: dove mi trovo oggi? Forse in un collettivo transfemminista, in una rete informale di autocoscienza, o forse – ancora una volta – da sola, scrivendo un diario che infrange ogni idea preconfezionata?

Copertina del primo numero di Teiko

Costanze Rhum © Wikimedia Commons

Ruhm, attraverso un atto che è al contempo atto di cinema e pensiero incarnato, riprende un’indagine interrotta da Carla Lonzi stessa. Quella sulle “Précieuses”: donne visionarie e fuori dagli schemi, che nel Seicento francese tentarono di forzare il silenzio e ritagliarsi uno spazio di parola e riflessione in un mondo che le relegava all'invisibilità. Ruhm, però, non cerca eroine da celebrare. Cerca compagne di battaglia da evocare, voci da risvegliare, forme di insubordinazione da restituire al presente.

Il film di Ruhm non si limita, infatti, a illustrare la storia, ma le disobbedisce. Non segue la logica sequenziale della narrazione tradizionale e lineare, ma distrugge l'ordine storico che ha sistematicamente emarginato le donne, ribaltandolo attraverso un formato sperimentale. Il ritmo dilatato, l’uso frammentato delle immagini, il montaggio che resiste alla compiutezza sono gesti atti a sfidare le convenzioni narrative. “È a questo punto che nasce il bisogno di fare storia” sollecita lo spettatore a confrontarsi con il disordine, e a costruire una genealogia che non si lasci intrappolare.

La domanda che ci pone Ruhm è poi, in fondo, come ascoltare Carla Lonzi oggi. Il suo pensiero ci offre, nel presente, uno spunto per un femminismo che non cerca approvazione o riconoscimento, ma che punta a trasformare radicalmente la realtà. Un femminismo che rimane irremovibile, disturbante, radicalmente eccedente rispetto all'ordine costituito delle cose. Un femminismo che non si adatta mai, come un archivio che ci interroga ci spinge a riscrivere, a lacerare il presente per immaginare il futuro.

Copertina del primo numero di Teiko

Still da “e a questo punto che nasce il bisogno di fare storia” (2024)